Nel mondo della medicina contemporanea, la parola “teranostica” sta diventando sempre più comune.
La teranostica è la crasi di due parole, “terapia” e “diagnostica”, che rappresentano due pilastri fondamentali della scienza medica, che si fondono per dare vita a una nuova era di trattamenti personalizzati, mirati ed efficaci. Grazie all’integrazione di tecniche diagnostiche e terapeutiche, la teranostica ha il potenziale per trasformare il modo in cui vengono trattate alcune delle malattie più complesse, come i tumori. Ne abbiamo parlato con il Professor Nicolò Mauro, Professore Associato di Tecnologie Farmaceutiche avanzate presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche Chimiche e Farmaceutiche – STEBICEF di Palermo.
Professore, ci parla della Teranostica?
La teranostica è un approccio innovativo che mira a combinare la diagnosi e il trattamento in un’unica nanopiattaforma integrata. Questo campo interdisciplinare si basa principalmente sul’uso di nanoparticelle, come i carbon nanodots, materiali ingegnerizzati su scala nanometrica, corrispondenti a un miliardesimo di metro, che possono essere utilizzati sia per individuare la malattia che per somministrare la terapia.
Grazie a queste nanoparticelle multifunzionali, i medici potranno in futuro monitorare in tempo
reale l’efficacia di un trattamento e adattarlo in base alla risposta del paziente. Uno dei principali limiti delle terapie farmacologiche classiche è che i farmaci, una volta somministrati, si distribuiscono in tutto il corpo senza distinzione, colpendo indistintamente sia le cellule malate che quelle sane. Questo genera effetti collaterali spesso severi, come nel caso della chemioterapia, dove l’obiettivo è
distruggere le cellule tumorali, ma a prezzo di danni significativi ai tessuti sani. La teranostica offre una soluzione promettente a questo problema. La possibilità di controllare con precisione dove e come un farmaco si accumula nel corpo potrebbe rivoluzionare la medicina moderna. Attualmente, quando somministriamo un farmaco, non possiamo prevedere con certezza in quale parte del corpo si concentrerà.
Ogni paziente risponde in maniera diversa, e questo comporta una significativa imprevedibilità. Ma cosa succederebbe se potessimo “indirizzare” il farmaco direttamente al bersaglio? Grazie alle nanotecnologie, questo è possibile. Inserendo il farmaco all’interno di un vettore, una nanostruttura, e modificando le sue proprietà in modo tale da indirizzarlo verso un sito specifico, come un tumore, l’efficacia del trattamento aumenta drasticamente. Il vettore può essere progettato con molecole di riconoscimento che identificano le cellule malate e trasportano il farmaco direttamente dove serve, riducendo al minimo i danni ai tessuti sani.
Ma c’ è di più. Queste nanostrutture possono essere tracciate dall’esterno attraverso metodiche diagnostiche non invasive, come la fluorescenza o la risonanza magnetica nucleare. In questo modo, i medici possono vedere in tempo reale dove si accumula il sistema e monitorare il processo terapeutico. La teranostica consente anche di attivare il rilascio del farmaco in modo mirato. Attraverso tecnologie come l’uso di laser, è possibile “accendere” il rilascio del farmaco solo quando il vettore si trova nel punto desiderato, offrendo un livello di controllo senza precedenti. Il medico, osservando dall’esterno tramite
imaging diagnostico, può decidere in quale area del corpo applicare il laser e promuovere così il rilascio del farmaco solo dove necessario. Questo livello di precisione offre un enorme vantaggio terapeutico: non solo riduce gli effetti collaterali, ma aumenta l’efficacia del trattamento, personalizzando la terapia per ogni singolo paziente. È un passo verso una medicina sempre più intelligente e su misura, dove la diagnosi e la terapia si fondono per migliorare la qualità della vita dei pazienti.
Ma siamo già a questo punto?
Le nanotecnologie, come quelle utilizzate in teranostica, sono ancora in fase preclinica, con esperimenti condotti principalmente su modelli ex-vivo e su modelli animali. Il prossimo passo sarà la medicina traslazionale, che permetterà di applicare questi progressi direttamente sui pazienti. Tuttavia, il percorso è lungo. Ci vorrà tempo prima che queste tecnologie arrivino alla pratica clinica. Nonostante il loro grande potenziale, le nanotecnologie avanzate sono ancora in una fase iniziale. Il loro successo potrebbe rivoluzionare la medicina, trasformando non solo i trattamenti, ma anche il modo in cui verranno sviluppati i nuovi medicinali.
Perché lei dice che c’è una barriera di pensiero nei confronti di questo tipo di approccio?
La ricerca di base sta generando nuove conoscenze, ma per tradurle in applicazioni cliniche concrete sono necessari numerosi passaggi. Prima di tutto, queste innovazioni devono essere accettate e testate su larga scala per garantirne la sicurezza. Un ulteriore ostacolo riguarda la produzione: mentre i sistemi industriali attuali sono progettati per molecole organiche, produrre nanostrutture, grandi un miliardesimo di metro, richiede una radicale trasformazione tecnologica e investimenti significativi. Inoltre, è indispensabile sviluppare nuove normative per garantire che queste tecnologie siano sicure ed etiche, un ambito in cui attualmente esistono ancora poche regolamentazioni.
Quali sono i paesi più all’avanguardia in questo settore?
Gli Stati Uniti e la Cina sono tra i paesi più avanzati nello sviluppo delle nanotecnologie applicate alla
medicina, grazie a ingenti investimenti che facilitano la traslazione della ricerca dalla fase preclinica a quella
industriale. Qui, gli spin-off universitari svolgono un ruolo cruciale, trasformando le innovazioni scientifiche
in servizi di supporto alla ricerca e prodotti concreti per il mercato. In Italia, tuttavia, il panorama è meno
dinamico. Siamo ancora indietro, con pochi spin-off e scarsi investimenti da parte dell’Accademia, delle
industrie e delle istituzioni. Un aspetto chiave nello sviluppo di queste nanotecnologie è anche la necessità
di una stretta collaborazione tra ricerca e il legislatore. Le nanotecnologie applicate alla medicina
richiedono una regolamentazione specifica che ne garantisca sicurezza ed efficacia. Tuttavia, il processo di
approvazione è spesso lungo e complesso. Un esempio lampante è rappresentato dal vaccino contro il
COVID-19. La tecnologia alla base dei vaccini a mRNA, che utilizza nanotecnologie per veicolare il farmaco
all’interno del corpo, esisteva già da circa 50 anni. Tuttavia, fino alla pandemia, non aveva mai ricevuto
un’ampia approvazione clinica. La formulazione del vaccino COVID-19 è una nanostruttura che migliora la
stabilità del farmaco e la sua biodistribuzione in vivo. Nonostante la tecnologia fosse consolidata, il vero
salto di qualità è avvenuto grazie alla spinta pandemica, che ha accelerato i processi di approvazione. In
tempi normali, questa tecnologia avrebbe richiesto decenni per essere approvata e utilizzata su larga scala.
La pandemia ha dimostrato che, con la giusta urgenza e collaborazione, si possono accelerare sia la ricerca
che i processi normativi, aprendo la strada a future applicazioni cliniche delle nanotecnologie. Questo tipo
di collaborazione e rapidità, però, deve essere mantenuto anche in periodi non emergenziali, per
permettere alla tecnologia farmaceutica e alla medicina di fare progressi significativi.
Quindi nel caso della Neurofibromatosi, che si manifesta con forme tumorali localizzate, sarebbe
qualcosa di veramente rivoluzionario.
Le nanotecnologie teranostiche come i carbon nanodots, che sono capaci di veicolare farmaci antitumorali
e rilasciarli al bisogno nel sito tumorale unitamente ad insulti fototermici altamente efficaci ed
ultralocalizzati, potrebbero rivoluzionare il trattamento di malattie come la neurofibromatosi,
caratterizzata da tumori localizzati. L’idea è sviluppare una nanostruttura che, una volta somministrata,
possa essere visualizzata dall’esterno con tecniche diagnostiche come la risonanza magnetica o l’imaging a
fluorescenza. Grazie a questa nanotecnologia, sarebbe possibile verificare in
tempo reale se il sistema si è localizzato nel sito tumorale del paziente. Una volta confermata la
localizzazione, si potrebbe risomministrare la nanotecnologia contenente il farmaco, che verrebbe attivata
direttamente all’interno del tumore mediante l’applicazione di sorgenti di luce capaci di penetrare i tessuti,
come i laser a infrarossi, distruggendo le cellule malate senza danneggiare i tessuti sani. Questa tecnologia
aprirebbe la strada a trattamenti altamente mirati e meno invasivi, ma richiede tempo ed ingenti investimenti.
La ricerca è un impegno per il futuro, bisogna essere lungimiranti se si vuole cambiare
radicalmente la medicina.
Valentina Maria Salvo