“Dalla cura della malattia alla cura della persona: Marina Melone parla del modello che cambia il volto della Medicina per le malattie rare”
Una storia di visione, coraggio e innovazione nata negli anni ’80 e oggi modello di riferimento nazionale ed internazionale per la gestione delle malattie neurologiche rare. Il racconto appassionato di Marina Melone tra transizione, medicina di precisione e partecipazione del paziente.
NAPOLI — Una voce appassionata, vibrante, profondamente umana: quella di Marina Melone, neurologa, docente universitaria e pioniera dell’assistenza integrata alle malattie neurologiche rare presso l’AOU Vanvitelli. Di fronte a un pubblico attento e emotivamente coinvolto, Marina Melone ha rievocato, con la chiarezza di chi ha personalmente vissuto ogni fase del processo, le tappe di un percorso delineato con determinazione a partire dai primi anni ’80, quando la medicina personalizzata era ancora una mera visione e prospettiva lontana.
“Quando abbiamo iniziato, nessuno parlava di PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale, N.d.R.), di medicina interdisciplinare, di transizione o di medicina partecipata. Noi, semplicemente, avevamo visto i bisogni reali delle persone e abbiamo risposto con un modello di cura che accompagnasse il paziente per tutta la vita.”
Un modello nato prima delle linee guida internazionali
Il progetto che ha preceduto di trenta anni e più le successive indicazioni dell’American Academy of Pediatrics o delle reti di centri di eccellenza europei per le malattie rare (ERN) sottolinea la necessità di un approccio integrato e interdisciplinare per le patologie complesse e rare. Questa intuizione ha anticipato le politiche sanitarie attuali, fondandosi su un principio semplice ma rivoluzionario: l’assistenza alla malattia non si limita alla diagnosi, e la cura non è solo trattamento medico, ma anche intervento umano, sociale e psicologico.
Nel cuore di questo modello vi sono le Neurofibromatosi, malattie neurogenetiche rare caratterizzate, in qualsiasi fase della vita, dalla predisposizione allo sviluppo di tumori del sistema nervoso e sistemici. La complessità delle patologie ha reso evidente la necessità di un percorso assistenziale lungo tutto l’arco dell’esistenza dei malati, che coinvolge non solo il paziente ma la famiglia nel suo complesso, spesso con più membri affetti. Il modello si è sviluppato per la neurofibromatosi 1, con la partecipazione negli anni ’80, di figure chiave come la pediatra Giuliana Lama. L’attenzione rivolta alla donna non solo come figura di cura, ma anche come paziente e alla diade madre-figlio, ha messo in evidenza l’importanza del legame tra madre e figlio, sia durante la fase di cura che nel contesto di malattia. Questo aspetto si è rivelato un elemento distintivo del modello.
“Abbiamo spesso incontrato madri che portavano i figli alle visite, dimenticandosi di sé stesse e della malattia di cui erano esse stesse affette. Abbiamo dovuto dire loro: ‘Anche lei ha diritto alla cura’. La malattia genetica è familiare, e va affrontata come tale.”
Medicina delle 4P e partecipazione attiva
Marina Melone ha poi illustrato come questo approccio si sia evoluto verso la cosiddetta medicina delle 4P: Preventiva, Prognostica, Personalizzata e Partecipata.
Un punto di svolta è proprio l’introduzione della partecipazione attiva del paziente: non più “oggetto di cura”, ma soggetto consapevole, informato e coinvolto nel proprio percorso terapeutico. Questo principio assume una valenza ancora più significativa nel contesto delle malattie rare e dei tumori, dove la condivisione delle conoscenze può fare la differenza tra il sentirsi isolati e il poter coltivare una speranza concreta di vita.
La transizione come sfida sociale
Un ulteriore aspetto cruciale del modello assistenziale life-long, tanto rilevante per i pazienti quanto stimolante per i ricercatori, concerne la transizione dall’età pediatrica a quella adulta, intesa non solo come tappa clinica, ma anche come processo di trasformazione sociale e culturale.
“Il modello di assistenza cambia dall’età pediatrica all’età adulta. Il concetto chiave è che il paziente non è un’entità isolata, ma è parte di una rete sociale e di un contesto familiare che influenzano il suo benessere e il suo percorso di cura.”
Della medesima scuola di pensiero, la pediatra Claudia Santoro e la neurologa Giusy Miele, con passione e dedizione, in collaborazione con Marina Melone, hanno istituito un ambulatorio dedicato proprio alla transizione, nell’ambito del modello assistenziale sostenuto anche da fondi PNRR – tra i 50 progetti italiani finanziati sulle malattie rare-, e parte integrante del PDTA proposto nella Regione Campania. L’obiettivo è quello di condividere conoscenze, esperienze e risorse, al fine di garantire ai pazienti affetti da Neurofibromatosi una migliore assistenza e una maggiore qualità della vita.
Per questo, Marina Melone non risparmia critiche aspre e puntuali al Sistema Sanitario Nazionale, evidenziando le disuguaglianze socio-sanitarie che si sono stabilite tra le regioni del Sud e del Nord del nostro paese. Allo stesso tempo, fa notare quanto peso economico e emotivo siano costrette a sopportare le famiglie che dal Sud Italia si spostano verso il Nord per soddisfare la domanda di salute.
“Analisi inconfutabili sull’assistenza sanitaria primaria, elemento chiave dell’architettura delle società contemporanee, enunciano il “diritto di tutte e tutti i cittadini al più alto standard di salute raggiungibile” e la necessità di “massimizzare l’equità e la solidarietà”, “rispondendo al contempo ai bisogni della popolazione, ovunque vivano sul territorio nazionale”. È evidente che le disuguaglianze tra il Sud e il Nord del nostro Paese minano la coesione sociale. Il servizio sanitario non riesce a fornire una copertura nazionale adeguata alle richieste specifiche e ai nuovi bisogni, e i servizi offerti non soddisfano le aspettative primarie, in particolare nell’assistenza ai malati cronici, come i malati rari. D’altra parte, chi decide di lasciare il Sud Italia, oltre a sostenere costi diretti, contribuisce a ridurre le risorse disponibili per il sistema sanitario regionale. È un dato di fatto che il Nord, per contro, riceva finanziamenti per gestire i pazienti provenienti da altre regioni.
Dalla malattia all’individuo: la medicina di precisione
Alla base di tutto c’è un’idea potente: la malattia non definisce l’individuo. “Se pensiamo la salute come assenza di malattia, e viceversa, corriamo il rischio di schiacciare la promozione della salute semplicemente e solo sul trattamento della malattia” afferma Marina Melone. Ritrovare l’eziopatogenesi sociale delle condizioni di sofferenza e di disagio significa la “promozione della salute come stato di benessere completo – fisico, mentale e sociale”, secondo la definizione dell’OMS del 1948, oggi più attuale che mai.
Con l’avvento della medicina di precisione, che pone l’attenzione sulla persona e non sulla malattia, il lavoro di Marina Melone acquista una risonanza universale. “L’obiettivo della “cura” è quello di mettere le persone in condizione di vivere la propria condizione al meglio delle proprie possibilità, identificare e realizzare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni, cambiare l’ambiente circostante o farvi fronte” come ci ricorda Marina Melone, riferendosi alla Carta di Ottawa per la Promozione della Salute, del 1986.
Marina Melone non solo ci consegna una lezione sulla Cura, ma anche una testimonianza di resistenza e innovazione nella Medicina rivolta ai malati rari. La sua è una voce che manifesta la compassione di chi ha osservato da vicino la sofferenza, ma che al contempo si distingue per la risposta competente, umana e ricca di visione. Il modello proposto, caratterizzato da un approccio interdisciplinare, trasversale e umanistico, rappresenta un esempio di eccellenza a livello nazionale e un simbolo di ciò che la sanità italiana può diventare: vicina ai pazienti, partecipata e realizzabile.
Di Valentina Salvo